2012 Giorgio Bonomi

Il corpo solitario: l'autoscatto nella fotografia contemporanea

>>> VAI ALL'ELENCO  TESTI CRITICI

STORE

Da "Il corpo solitario: l'autoscatto nella fotografia contemporanea", di Giorgio Bonomi, Rubbettino editore (2012)

Capitolo 7 (pag. 287)

Il corpo come sperimentazione

In questo capitolo ci occuperemo di quegli artisti che nel fotografare se stesi ottengono un prodotto estetico che definiamo di "sperimentazione". Il termine stesso "esperimento" significa "prova", "ricerca", quindi nel tentativo di "novità", cioè il prodotto sperimentale si presenta, nella forma e/o nelle procedure adoperate, con caratteristiche insolite e connotate fortemente da aspetti non usuali, non familiari. È ovvio che ogni artista cerca di affermarsi per gli elementi di novità che propone nel suo lavoro ma, in alcuni, questi elementi sono all'interno di una visibilità formale nell'insieme nota, mentre in altri sono proprio queste caratteristiche che risaltano al primo sguardo e offrono un'immagine completamente innovativa, per esempio in Man Ray possiamo osservare entrambi i fenomeni, infatti nei suoi nudi c'è sì una carica di novità - e per questo Man Ray è un grande artista - ma se essi appaiono come "corpi", immagini a cui siamo abituati, mentre i rayogrammes, ove la sperimentazione è più evidente, si presentano come immagini del tutto inconsuete. Inoltre, chiariamo che non è nostro campo d'indagine la "sperimentazione" permessa o stimolata dalle tecnologie contemporanee - anche se queste sono di enorme aiuto nella ricerca e spesso sono usate dagli artisti che esaminiamo - ma il "prodotto finito", cioè un'opera d'arte come si dà al pubblico, a prescindere dai mezzi adoperati per realizzarla. Anche qui, come nelle pagine precedenti, avrebbero potuto trovare spazio molti artisti di cui abbiamo già parlato e che evidenziano una forte carica sperimentatrice, ma restiamo fedeli a quanto dichiarato e quindi analizzeremo gli artisti nei quali ci sembra prevalente la "sperimentazione" rispetto alle tematiche antecedenti, consapevoli dell'arbitrarietà di queste classificazioni ma anche della loro necessità per ragioni espositive. (...)

(pag. 289, su Silvia Abbiezzi)

(...) Relativamente all'ibridazione della fotografia, abbiamo pure la milanese Silvia Abbiezzi (1966) che, accanto a fotografie stampate in digitale, usa radiografie, fili di cotone, di sutura, da imbastiture, stoffe, spilli, pastelli, acrilico ed altro ancora. Nelle immagini appare con la bocca cucita, con il suo seno ben in vista che "punisce chi guarda troppo da vicino", con la radiografia dei suoi piedi, con i suoi occhi eccetera. Un lavoro "autobiografico" che offre molteplici spunti di riflessione, dal silenzio imposto alla donna all'ironia e al dolore, dallo sguardo affettuoso alla sensualità. (...)

Giorgio Bonomi (filosofo, storico e critico d'arte), 2012