2009 Pablo De Leo 

Presentazione dell'opera di Silvia Abbiezzi

Silvia Abbiezzi 

presentazione di Pablo De Leo  

Silvia Abbiezzi dimostra una spiccata sensibilità artistica già dagli anni dell'infanzia; nel 1984 ha conseguito il diploma di maturità artistica e nel 1989 il diploma di licenza accademica, facoltà di pittura, presso l'Accademia di Belle Arti di Brera.

Dopo una parentesi ritrattistica di vaga ispirazione "vangogghiana" comincia a sviluppare una tecnica personale espressa attraverso l'utilizzo sinergico del collage, della fotografia e della pittura.

Il soggetto ricorrente della sua ricerca è il corpo femminile; è un soggetto forte, archetipale, di cui la Abbiezzi si serve per alludere ad alcuni aspetti della vita della donna contemporanea ai quali intende dare rilievo.

Il suo impulso espressivo muove dal tema della donna-oggetto per giungere ad un linguaggio visivo crudo, a tratti violentemente provocatorio, che ha come fine lo stravogimento del concetto di bellezza femminile, trasfigurato nella rappresentazione dell'orrore per mezzo della giustapposizione di parti anatomiche moncate, lacerate, e riassemblate per mezzo di suture, sulla falsariga delle grottesche suggestioni del "Frankenstein" di Mary Shelley.

Non è 'materiale da obitorio' quello di Silvia Abbiezzi: i suoi monconi, i suoi tronchi umani vibrano di vitalità, reclamano l'attenzione delle nostre coscienze per raccontarci il disagio di una donna che non intende identificare se stessa con il proprio corpo, ma preferisce demistificare l'appeal erotico delle membra femminili, al quale oppone la consapevolezza individuale come primaria risorsa dell'essere.

Le sue opere evidenziano istanze significative della contemporaneità femminile: ci parlano dell'aberrante fenomeno "anoressia", della solitudine che giace nel dolore dell'indagine introspettiva, o innescano un dibattito interessante a partire dal confronto tra donna mediorientale e occidentale (quale feticcio, tra il burka e la calza a rete, degrada di fatto la femminilità? E' peggio dover nascondere le proprie grazie o essere obbligati a mostrarle e mercificarle consapevoli del fatto che solo in questo modo la società recepisce e codifica la nostra esistenza?).

Gli uomini del paleolitico superiore realizzavano rappresentazioni scultoree del corpo femminile in una prospettiva magico-propiziatoria come auspicio di fecondità della terra e della donna, enfatizzando gli attributi anatomici direttamente collegati alla fertilità e alla maternità (come il seno e i fianchi) attraverso l'iperdimensionamento.

Più tardi, nel mondo greco, i valori di giustizia, di arte, scienza e saggezza si personificano nelle fattezze della dea Atena; all'interno dell'esperienza rinascimentale italiana, La Primavera che raffigura Venere al centro della composizione è, nelle intenzioni del Botticelli, un pretesto pedagogico per trasmettere il concetto ficiniano di Humanitas (inteso come "raffinatezza" e "cultura").

Dopo la seconda metà dell'ottocento, la nuova società borghese ispira a pittori come Klimt e Munch una visione molto differente della femminilità: la donna presso di loro diviene l'ingresso al caos dei sensi e alla perdita del senno, una sorta di donna-vampiro, che sperpera la vitalità propria ed altrui sino all'annullamento totale.

Ai giorni nostri, la comunicazione visiva pubblicitaria si serve abbondantemente del corpo femminile, quasi sempre adottato a complemento di quelle tecniche di persuasione che oramai tutti noi conosciamo: Silvia Abbiezzi stempera il proprio disappunto nel gesto creativo, eludendo lo scontro frontale con una società sorda e autodistruttiva, alla ricerca di nuovi contenuti nella gioia del fare.

Pablo De Leo, 2009